IL CORONAVIRUS NELLA CITTÀ DEGLI ANGELI.

La situazione non è seria, fin quando lo è. L’epidemia del Coronavirus ha messo in ginocchio tutto il mondo. Qui vi raccontiamo come a Los Angeles si è passati dalle battute fuori e dentro il web al panico. E delle pesanti conseguenze che sta subendo il mondo dello spettacolo. Invece che osservare e imparare dalle altre nazioni e attrezzarsi ad una pronta risposta, Hollywood è stata a guardare, aspettando che inevitabilmente il virus arrivasse anche qui.

All’inizio di marzo, mentre in Cina e in Italia i casi crescevano, la paura aumentava e abbondavano gli appelli in tv a restare in casa, a Los Angeles si andava ancora alle proiezioni, agli eventi, ai festival. Proprio in occasione della serata di apertura del Canada Film Festival, fuori in attesa di entrare, la si buttava sul ridere: “Non ti avvicinare. Che mi passi il virus?” oppure “Guarda quella lì, lei è il virus”; “È immune, con tutte le malattie che ha già”; e via a scherzare. Cominciavano ad arrivare le prime direttive: niente più selfie, autografi, interazioni tra le star e il pubblico. I segnali di allarme c’erano, ma ci si sentiva ancora al sicuro. “Goditi questa anteprima, rischia di essere l’ultima”, diceva un collega. “Dovremo trovarci un nuovo hobby” rispondeva l’altro. Un velo di timore c’era, ma si aveva ancora voglia di scherzare. Al rinfresco potevi sentire cose del tipo: “Mia madre mi ha mandato un messaggio. Dice di non toccare niente del cibo a disposizione!”. “Dovrebbero fare come al festival del cinema Filipino, distribuire una scatola a testa con il cibo già pronto, come l’Happy Meal di McDonalds”.

Siamo tutti colpevoli di aver preso la situazione sottogamba, sicuri che la notizia fosse ingigantita , che tanto è solo un’altra forma di influenza. Pochi giorni dopo, all’anteprima de L’uomo invisibile si aspettava tutti in fila ammassati senza distanze di sicurezza. Sala gremita. Intanto ci si chiedeva se ci sarebbero state ripercussioni sull’imminente FYC Season (For your consideration). Marzo, infatti, è il mese in cui inizia la promozione da parte dei network, tv via cavo e streaming per gli show televisivi che cercano la nomination agli Emmy. Tre mesi intensi di incontri, visioni di episodi in sala, party, dibattiti. Netflix e Amazon che fanno a gara a chi mette in piedi l’esperienza interattiva più coinvolgente. Si sperava ancora, i primi eventi si svolgono senza intoppi, ma altri cominciano ad essere rinviati. Si è tutti convinti che si parli solo di posticipare di qualche settimana. Martedì 10 marzo c’è quella che risulterà essere l’ultima anteprima: The Hunt, un film satirico che mette contro i due estremi dell’America, i progressisti e conservatori che votano Trump. Invece che regalare magliette si regalavano rotoli di carta igienica. Durante il dibattito a seguito del film lo sceneggiatore batteva il cinque ad uno spettatore seduto in prima fila e scherzava anche lui: “Ti ho appena passato il Coronavirus”. Le notizie dal resto del mondo si sapevano, ma ancora la si metteva sul ridere.

Cominciarono ad arrivare e-mail di modifiche ad eventi futuri. Ad una convention di interior designer si dichiarava che l’evento si sarebbe svolto, ma solo con partecipanti locali, nessuno che arrivasse dall’estero. Ai supermercati si poteva ancora andare e, salvo l’assalto alla carta igienica, non c’erano disagi. Poi Giovedì 12 marzo è cambiato tutto. Il presidente ha annunciato lo stato di emergenza e la gente è andata nel panico. Supermercati svaligiati. Dapprima razzie di carta igienica e acqua, poi di qualsiasi altra merce. Scaffali completamente vuoti. Se ci fossero stati i bunker della guerra fredda si andrebbero andati a nascondere lì. Il che fa pensare a quando nei film con gli zombie i nostri eroi si rifugiano sempre in supermercati super forniti; qualcosa non torna. E poi, perché sono Americani, si sono create le file anche ai negozi di armi. È l’apocalisse e bisognerà difendersi. Proprio qui, in zona Culver City, ad un passo dai Sony Studios, nella città più cosmopolita, tollerante e liberale d’America c’è la corsa ad armarsi fino ai denti.

Il giorno dopo la casella della posta elettronica viene intasata da comunicazioni di slittamenti, date da stabilire, o addirittura cancellazioni. Si prova a tenere i cinema aperti per un giorno vendendo una poltrona si e tre no per tenere le distanze, poi vengono fatti chiudere definitivamente. Le uscite imminenti come A quiet place Part II Mulan vengono rinviate a data da destinarsi. Universal decide di rendere disponibili in streaming subito i titoli appena usciti, tanto al cinema non si può andare. Si può definitivamente dire addio alla campagna promozionale pre Emmy. Gli aventi diritto al voto riceveranno un link esclusivo per visionare gli episodi e guardare possibili interviste a distanza. Non siamo sicuri di quanti aderiranno visto che uno dei principali fattori è sempre stato quello di vedere il cast e il regista dal vivo.

Al giorno in cui scriviamo si è arrivati al lockdown come in Italia. Non lo chiamano così, ma essenzialmente è la stessa cosa. Solo supermercati, farmacie, banche, stabilimenti di prima necessità possono operare. Tutto il resto deve restare chiuso e la gente a casa. In confronto all’emergenza globale questi sono problemi da niente, è vero, ma resta il fatto che la macchina dello spettacolo ha ricevuto un arresto che arreca danni pesantissimi all’industria. Si pensi a tutto quello che circonda un evento: catering, autisti, affitti di spazi, e via dicendo, c’è molto di più oltre la facciata. La cerimonia degli Emmy è a forte rischio di annullamento e, se le cose andranno per le lunghe, le conseguenze potrebbero ripercuotersi anche sui prossimi Oscar. Ce la faremo, certo, ma oggi possiamo solo fare la nostra parte nell’evitare la propagazione del contagio. Affrontando un giorno alla volta.

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