C’è un nuovo festival sulla scena a Los Angeles, è al suo primo anno, ma a giudicare dalla qualità dei film presentati prevediamo una crescita esponenziale. Si chiama Rock the Shorts e si svolge nel cuore di Downtown, per la precisione nel quartiere di Little Tokyo, al Downtown Independent theater. Un cinema storico inaugurato negli anni ’40 sotto il nome di Linda Lea, recentemente ristrutturato e modernizzato. Il festival nasce dalla mente dei produttori Josef Csongei e Roxanne Marciniak, i quali, dopo essersi resi conto di quanto fosse impegnativo ed estenuante portare in giro per i festival il proprio di corto, The Three Bobs, hanno deciso di creare un festival tutto loro. È la stessa filosofia che portò Ben Affleck e Matt Damon a scrivere la propria di sceneggiatura (Good Will Hunting). Non solo, in questo modo Csongei e Marciniak hanno anche dato luogo ad una nuova e importante vetrina per tanti giovani cineasti. Lontano in termini di tempo dall’affollamento dei festival autunnali, ma ancora sulla scia degli Oscar appena conclusosi.
Tra oltre cento corti arrivati ne sono stati selezionati trentuno, programmati in cinque blocchi nell’arco di un’intera giornata. Il blocco serale a cui abbiamo partecipato non solo ha dimostrato il grande talento degli autori, ma anche un’enorme varietà di generi e argomenti, alcuni di grandissima attualità. Ad esempio Generation Lockdown, il corto che ha aperto la serata, che ha per tema le sparatorie nelle scuole. L’esercitazione per addestrare insegnanti e alunni a come reagire in tali situazioni drammatiche è diventata una nuova norma nelle scuole americane, ma non senza conseguenze. Le menti facilmente suscettibili dei giovani alunni ne stanno pesantemente risentendo. L’idea del corto nasce infatti dal racconto scritto di un bambino di undici anni, il quale ha iniziato ad avere incubi su una possibile sparatoria nella sua scuola. “Volevo raccontare la storia dal punto di vista dei bambini, entrare nella loro teste. Spesso noi genitori siamo completamente inconsapevoli di cosa passa per le loro teste, cosa provano i ragazzi”, racconta la regista Sirad Balducci. Il corto, che punta dritto allo stomaco, ha meritatamente vinto il premio come miglior film drammatico.
A seguire The Difference diretto da Brianne Berkson e Miguel Gluckstern, in collaborazione con Holistic Life Foundation of Baltimore, un’associazione che mette risorse a disposizione di bambini e ragazzi poco agiati e disadattati. Attraverso yoga e pratiche respiratorie i volontari danno ai bambini quella sicurezza in loro stessi per poter competere in un mondo cinico che favorisce i privilegiati.
Di natura completamente differente Townes di Katie Flynn, racconto fantasioso di una bambina rimasta sola in un paesaggio arido e post apocalittico. Cosa sia davvero successo non è dato sapere: la madre è morta o sta solo dormendo? La fantasia di volare nello spazio è nella mente della bambina o accade veramente? Tutto è lasciato all’interpretazione. Splendidamente fotografato da Alexandre Themisticleous, il corto ha per protagonista la vera figlia della regista ed è girato in una vera discarica di loro proprietà, a Landers, vicino Joshua Tree. Un luogo deserto, ma al tempo stesso di grande significato per la regista. “A livello personale, crescendo, mi ha sempre dato un senso di rifugio, il luogo ha contribuito a definire i tratti della storia. E poi sono affascinata da come i bambini affrontino certe situazioni con l’aiuto dell’immaginazione”.
Respiro internazionale con 9862, esilarante storia di un marito fedifrago caduto nella trappola della moglie, scritto e interpretato da Jon Digby, arrivato appositamente da Londra. “L’obiettivo era creare il caos in quei dieci minuti. Il che ha dato preoccupazione per la moquette dell’appartamento, diventata subito l’aspetto più costoso dell’intera produzione”.
A seguire Basic di Chelsea Devantez, sui pericoli inaspettati delle nostre impronte digitali lasciate nel web. La follia che si genera quando una ragazza diventa ossessionata dalle foto sparse su Instagram del suo fidanzato con la propria ex.
Si resta nell’attualità con il cortometraggio di chiusura intitolato Me Too Nice della frizzante Jamie Anderson, con protagonista John Asher. La storia dai caratteri comici prende spunto dai fatti di cronaca che hanno dato vita al movimento Me Too (facendo un gioco di parole nel titolo), per evidenziarne conseguenze non volute. Fa piacere che sia proprio una donna a gettare luce sui pericoli di una generalizzazione e su quanto sia grave fare di tutta un’erba un fascio. “Sono stata attrice, una vita fa ormai, e Dio solo sa quanti tipi di Weinstein ho incontrato. Per quanto il Me Too fosse assolutamente necessario non credo sia giusto denigrare ogni singolo uomo per colpa di alcuni. Dobbiamo anche imparare a ridere delle differenze tra uomo e donna.” Con un canovaccio che si rifà a Bugiardo Bugiardo, Me Too Nice diverte e fa pensare. Il corto sta facendo il giro dei festival, prossime tappe il Los Angeles Short Film Festival e Garden State Festival nel New Jersey. Oltre ad un cast affiatato e uno spunto brillante, il film di Anderson si avvale anche di luoghi famosi, come la fontana di Beverly Hills già immortalata in Clueless.
“Mi sono battuta molto per quella location. Io cerco sempre di fare tutto in regola con i permessi, ma rendono veramente difficile girare a Los Angeles. Tutti sanno quanto è complicato realizzare un corto: serve lo stesso impegno per un lungometraggio. La differenza sta solo nella durata.”
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